Veniamo da un anno in cui per ognuno di noi le sensazioni più comuni sono state “sorpresa”, “inquietudine”, “paura”, “sofferenza”.

Ho pensato molto a tutto questo e di recente mi sono preso un po’ di tempo, tra le varie attività e impegni che ho, per fare un’analisi piuttosto accurata, del lavoro svolto nell’ultimo periodo con le tante persone con le quali ho la fortuna di lavorare.

È balzato fuori dagli appunti e dagli esercizi svolti, che le parole che più di altre sono state utilizzate riconducono a determinati stati d’animo che tecnicamente abbiamo fortunatamente individuato, superato e rieducato.

Nel dettaglio, senza voler scendere alle percentuali, posso dire che in gran parte, la linguistica usata riconduce principalmente ai sentimenti di paura e solitudine. A pensarci bene era prevedibile e tutto sommato naturale con quello che sta succedendo ma è stato comunque illuminante per me poter prendere atto, in modo tangibile, di quanto l’essere umano abbia desiderio di contatto e sia disposto ad affrontare le proprie paure solo quando ha dei motivi importanti per farlo.

Questo periodo, di fatto, ci ha costretti a scegliere di cosa avere davvero paura e per cosa vale la pena davvero batterci.

Tornando all’analisi, è chiaro che a marzo il fattore scatenante è stata la sorpresa (il covid non se lo aspettava nessuno).

È accaduto un imprevisto che ha portato fuori dalla propria zona di comfort, spingendo le persone, di conseguenza, al cambiamento.

In casi così scegli gioco forza di cambiare abitudini se vuoi restare in vita e avere un futuro da immaginare per te e per i tuoi figli e per farlo ti devi impegnare per affrontare le giornate in modo diverso, nuovo e quindi meno familiare.

Sono state date delle regole ed è aumentata la distanza tra persone fino a diventare una consuetudine girare con il volto coperto, spostandosi repentinamente se uno sconosciuto ti sta camminando vicino o ti viene incontro.

Questa distanza, come hai potuto toccare con mano, si trasforma poi in solitudine, che quando è “desiderata” è una gran cosa: ti permette di riflettere, meditare, apprezzare meglio ciò che hai.

Ma, quando ti è imposta e si protrae nel tempo, nella maggior parte dei casi si trasforma in “solitudine indesiderata” e si passa dalla realtà dell’”essere solo” alla percezione del “sentirsi solo”.

Questa sensazione in molti, come dicevo all’inizio, è purtroppo diventata poi paura o addirittura terrore di restare soli.

Il nostro corpo, come ho scritto più volte anche su queste pagine, quando ha paura si pone in una posizione di difesa perché si sente aggredito, nonostante il pericolo non sia reale nell’immediato, e va quindi in stress producendo maggiori quantità di adrenalina e cortisolo che provocano degli stati d’animo poco utili quando devi progettare, programmare, fare delle scelte e prendere delle decisioni.

In questi casi è molto meglio essere lucidi e avere in circolo il giusto cocktail ormonale e per riuscirci un passaggio importante è prendere consapevolezza di questa difficoltà, chiedere aiuto e attivarsi per fare quel clic che inverta il processo verso l’immobilità, l’interdizione.

Sì, perché il rischio più grosso quando ci sono delle situazioni difficili da affrontare è quello di pensare che sia inutile ogni azione o pensiero e quindi, non sapendo cosa fare, restare immobili, in attesa dell’inevitabile.

Restare immobili magari non sarà la causa delle tegole che ti cadono in testa ma stai pur certo che non ti aiuterà a scansarle.